“L’opera di Albino Accoroni tra sogno e sogno” di Paolo Giugliarelli

Squarcio verde su un paesaggio lunare segnato da case vuote, mute astanti davanti ad una natura viva, prepotente.

Tocchi orientali disegnano sete preziose su barche e capanne in riva al mare, quasi odalische compiaciute e compunte che aspettano di intrecciare una danza. La varietà di ambienti, di paesaggi, di esperienze vissute nascono da un’umanità assente, nascosta magari dietro imposte chiuse o seduta su una sedia al di fuori del campo visivo.

C’è un magma vivo che scorre alla base di immagini senza tempo contrastato dalla pietrificazione massiccia di paesini arroccati su una collina o di barche appoggiate contro i muri di casupole apparentemente vuote:è l’effetto di un mare che spinge su una scogliera, arrestato però da una barriera insuperabile.

Quando guardo i quadri di Albino Accoroni accarezzo con lo sguardo uno smeraldo trasparente, città di vetro cristallizzate in una prigione preziosissima e invisibile. Un vento impietoso spazza via ogni elemento superfluo regalando ai muri delle case un nitore preciso e metallico come un giorno luminoso su monti dai contorni netti.

Una pittura essenziale sino all’inverosimile tanto da creare un paesaggio onirico. Immagini create dal sogno ove le figure umane non hanno importanza e le cose inanimate assurgono a muti spettatori che ti fissano da una dimensione parallella.

C’è un tempo di alba in luoghi solitari, un’armonia fluida tra cielo, mare e terra raggiunta, negli acquerelli, attraverso sfumature e pennellate chiare.

Rosso e blu sangue, e pietra levigata, poi verde smeraldo e tinte mélange: creature di colore che si fronteggiano avide di attenzione; un acquario dai toni cromatici decisi, possenti, indipendenti sempre pronti a sfidare chi li ammira.

Il progresso estetico nell’opera di Albino Accoroni si unisce alla ricerca puntigliosa della verità sepolta sotto pesanti strati di ragnatele dati dalle barriere quotidiane della mente immersa in una realtà visiva non ideale e quindi inutile.

I campi in cui egli spazia sono onirici e non concreti come potrebbe sembrare dai suoi quadri. Ha davanti a sè un muro: scavando, sbrecciando, insistendo con un punteruolo egli svela vari strati, tutti diversi, ma dello stesso muro. Quando nell’ultimo strato vedrà la sua immagine, capirà di aver scavato solo in se stesso.

Paolo Giugliarelli